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Il blocco dei licenziamenti causa Covid non è applicabile ai Dirigenti

Tribunale Roma Sezione L Civile Sentenza 19 aprile 2021 n. 3605

L’ambito di applicazione del c.d. blocco dei licenziamenti, previsto come noto dall’art. 46 del decreto legge “Cura Italia” n. 18/2020, convertito con modificazioni alla legge n. 27/2020, non è applicabile ai Dirigenti.

Il Dirigente in questione è infatti stato licenziato con lettera ricevuta il 6.5.2020, quando era in vigore detta disposizione (modificata, ma solo per la più estesa efficacia temporale del blocco, dal decreto legge “Rilancio” di poco successivo, n. 34 del 19.5.2020).

Il dato letterale della disposizione, in uno con la filosofia che la sorregge, non consente di ritenere che la figura del dirigente possa essere ricompresa nel blocco.

Si è stabilito infatti che il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non possa recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/66, disposizione quest’ultima che pacificamente non si applica ai dirigenti sia per espressa previsione normativa (cfr. il successivo art. 10) sia per consolidato principio giurisprudenziale (per tutte, Cass. 2.10.2018, n. 23894 e Cass. 26.10.2018, n. 27199).

Il dato letterale, e cioè l’esclusione della figura del dirigente convenzionale dal blocco dei licenziamenti, risulta coerente con lo spirito che sorregge l’eccezionale ed emergenziale previsione del blocco dei licenziamenti durante la pandemia. Il blocco infatti è stato accompagnato da una pressoché generalizzata possibilità per le aziende, anche quelle piccole, di ricorrere agli ammortizzatori sociali, con la conseguenza che la cassa integrazione, estesa come detto a tutte le aziende, ha consentito a queste ultime di tamponare le perdite (attraverso una riduzione del costo del lavoro), permettendo la tutela occupazionale dei lavoratori, anche a fronte del blocco dei licenziamenti.

La chiara ed evidente simmetria tra il blocco dei licenziamenti e soccorso della collettività generale (attraverso gli ammortizzatori sociali) è resa evidente dalla speciale previsione del comma 1-bis del citato art. 46 del decreto Cura Italia (comma 1-bis introdotto dal successivo decreto “Rilancio” del maggio 2020), secondo la quale anche i licenziamenti per motivo oggettivo ex art. 3 legge n. 604/66, già intimati prima del blocco (dal 23.2.2020), possono essere revocati dal datore di lavoro purché contestualmente quest’ultimo faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale.

In altre parole, per far fronte ad una emergenza sanitaria ed economica senza precedenti (almeno dal secondo dopoguerra), il sistema così delineato appare ragionevolmente sorretto dal binomio divieto di licenziamento/costo del lavoro a carico della collettività.

Con riguardo ai dirigenti detto binomio non può stare in piedi, poiché a questi ultimi non è consentito, almeno in pendenza del rapporto di lavoro, di accedere agli ammortizzatori sociali. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui venisse esteso il blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, il datore di lavoro si ritroverebbe nella condizione di non poter reperire una soluzione sostitutiva (come per tutti gli altri dipendenti non dirigenti) che permetta loro di garantire reddito e tutela occupazionale senza costi aggiuntivi. Ciò determinerebbe che della categoria dei dirigenti dovrebbe necessariamente farsene carico il datore di lavoro, pur in presenza di motivi tali da configurare un’ipotesi di giustificatezza del recesso. E ciò potrebbe determinare un profilo di incoerenza costituzionale tra estensione del blocco ai dirigenti e principio di libertà economica.

In definitiva, la lettera della norma e la ratio del sistema non consentono di includere i dirigenti nella platea dei dipendenti beneficiari del blocco.

Uno degli argomenti utilizzato da chi al contrario propende per l’estensione del blocco anche ai dirigenti è quello della irragionevolezza che sarebbe determinata dal fatto che il dirigente è protetto dal blocco quando rientra nella disciplina dei licenziamenti collettivi, mentre invece non è protetto quando si tratti di licenziamento individuale.

Al riguardo, la diversità delle due fattispecie (da una parte, il dirigente coinvolto in una procedura di licenziamento collettivo unitamente ad altri dipendenti protetti dal blocco; dall’altra, il dirigente destinatario da solo di un licenziamento economico individuale) è ragione tale da giustificare una diversità di trattamento tra le due ipotesi. E d’altra parte, comunque, tale diversità di trattamento non può costituire valido motivo per estendere il beneficio del blocco al licenziamento individuale del dirigente, quando come detto la lettera della legge e la ratio del sistema non lo consentono.

Roberto Smedile

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