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Se la casella PEC è satura, la colpa è dell’avvocato e la notifica è buona.

Cassazione Civile Ord. Sez. 3 Num. 26810 Anno 2022

Casella PEC satura colpa avvocato

Tempi duri per gli avvocati ancora abbarbicati alla carta.

Bisogna controllare la PEC e, soprattutto, tenerla in ordine, in modo che sia sempre in grado di ricevere posta.

Casella PEC satura colpa avvocato

In particolare, con specifico riferimento alla ipotesi di saturazione della casella PEC, è stato escluso che essa configuri un impedimento non imputabile al difensore (Cass., sez. 6-1, 12/11/2018 n. 28864, in motivazione; Cass., sez. 1, 20/05/2019, n. 13532; Cass., sez. 3, 09/01/2020, n. 3164; Cass., sez. 3, 20/12/2021, n. 40758). Tale affermazione si pone in continuità con precedenti pronunzie di questa Corte che hanno sottolineato come, una volta ottenuta dall’ufficio giudiziario l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa   responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l’onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali (Cass., sez. L, 02/07/2014 n. 15070; Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532).

La giurisprudenza ha chiarito che la notifica a mezzo Pec ex art. 3 bis della legge n. 53 del 1994 di un atto del processo ad un legale implica l’onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell’attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l’allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l’onere in questione non può dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l’esercizio della professione (Cass., sez. 6-3, 25/9/2017 n. 22320).

Il domicilio digitale dunque non ammette deroghe; sarebbe forse il caso di renderlo obbligatorio per tutti i cittadini, come il codice fiscale, in modo da assicurare la ricezione di tutte le comunicazioni e le notifiche ed abbattere i tempi dei processi, che spesso subiscono enormi rinvii proprio perché le notifiche non vanno a buon fine.

Roberto Smedile

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