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Opposizione a decreto ingiuntivo: la responsabilità del Giudice che concede la provvisoria esecutorietà del decreto opposto poi revocato

In caso di concessione di provvisoria esecutorietà di un decreto ingiuntivo opposto e poi revocato nel merito, è possibile che ci sia una responsabilità del Giudice che ha concesso la provvisoria esecutorietà?

Una società riferiva in fatto, di ver proposto innanzi al Tribunale, nel 1996, opposizione ad un provvedimento monitorio che le ingiungeva il pagamento di attuali circa 300.000 euro. Il giudice dell’opposizione, dopo un iniziale diniego – motivato con la assenza del “fumus boni iuris” – dell’istanza formulata ex art. 648 c.p.c., dal creditore opposto, autorizzò la provvisoria esecuzione del decreto, subordinandola, però, al deposito di una cauzione (circostanza che indicò come idonea a “superare le perplessità sulla prova esternata in precedenza”), della quale indicò, nel medesimo provvedimento, le caratteristiche minime di forma e contenuto.

Prestata da un terzo la cauzione, ed ottenuto dal creditore il rilascio, da parte del Presidente del Tribunale locale, del decreto con formula esecutiva, l’ingiunta pagò il credito indicato nel provvedimento monitorio, ormai provvisoriamente esecutivo. All’esito del giudizio di opposizione, tuttavia, sebbene il decreto ingiuntivo fosse revocato, l’allora attrice in opposizione (e ricorrente in Cassazione) non poté’ recuperare quanto indebitamente pagato, a causa del fallimento sia della società opposta, sia della società che, nella veste di garante, aveva rilasciato la cauzione. Nel merito, emerse che vi fu un comportamento scorretto del creditore ingiungente – consistito nel produrre una fideiussione non valida, sia perché’ prestata da un soggetto che non aveva natura di primario istituto bancario o assicurativo nazionale, sia perché’ priva della condizione di efficacia costituita dalla sottoscrizione del beneficiario.

Su tali presupposti, nell’anno 2005, la società convenne in giudizio, innanzi al Tribunale, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per far valere la responsabilità dei due magistrati intervenuti in quella procedura e, dunque, per chiedere il risarcimento del danno subito.

Il comportamento scorretto del creditore ingiungente fu giudicato sufficiente ad interrompere il nesso causale tra la condotta del magistrato e l’evento dannoso.

La questione è giunta fino alla Cassazione, la quale, con Sentenza 22 febbraio 2021 n. 4662 ha invece affermato la responsabilità dei due magistrati, enunciando il seguente principio di diritto: in materia di illecito aquiliano, l’accertamento del nesso di causalità materiale, in relazione all’operare di più concause ed all’individuazione di quella cd. “prossima di rilievo” nella verificazione dell’evento dannoso, forma oggetto di un apprezzamento di fatto del giudice di merito che e’ sindacabile in sede di legittimità, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sotto il profilo della violazione delle regole di diritto sostanziale recate dagli articoli 40 e 41 c.p. e articolo 1127 c.c., comma 1.

Pertanto, in caso di comportamento colposo di un soggetto idoneo a cagionare un danno, la condotta dolosa di altro soggetto che non si ponga come autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, non è idonea ad interrompere il nesso causale con l’evento dannoso, ma potrà, al più, assumere rilievo solo sul piano della selezione delle conseguenze dannose risarcibili.

Roberto Smedile

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